La storia della Fiera di Messina ha un’origine lontana nel tempo: il 1296 può essere considerato l’anno di nascita ufficiale; in quell’anno, infatti, Federico II di Svevia regolamentò l’istituzione della Fiera con una serie di leggi, che con debita traslazione storica possiamo riconoscere ancora oggi: le Generale Nudinae avevano durata di quindici giorni e vi potevano partecipare mercanti locali e stranieri. La Fiera, denominata del Santo Sepolcro, si teneva fuori le mura delle città, nelle vicinanze di un’omonima chiesetta normanna; tale area viene localizzata tra la parte nord di Porta Reale e la Chiesa di San Francesco Di Paola. In questa sede, e successivamente entro le mura delle città, lungo le banchine del porto, la Fiera raggiunse, nel XV secolo, il culmine della sua attività e della sua fama. Il declino si ebbe in seguito al malgoverno della città, alle lotte intestine e alle crisi economiche. Una decadenza dalla quale la Fiera non riuscì a risollevarsi nemmeno sotto il governo Borbonico, nonostante la concessione del “Porto Franco”. Con l’Unità d’Italia e successivamente con l’apertura del canale di Suez, il Porto di Messina divenne punto nodale di smistamento con conseguente rinascita delle industrie e del commercio della città: la Fiera divenne nuovamente epicentro delle attività economiche del Bacino del Mediterraneo. Ogni istituzione segue gli eventi della città e del luogo dove essa ha sede, così la Fiera non potè esimersi dalle disastrose conseguenze del terremoto avvenuto a Messina all’inizio del secolo. Dopo il 1908, la città venne interamente ricostruita. Messina può essere considerata uno dei pochi esempi di città moderna ricostruita per intero secondo un progetto urbano. Il disegno urbano dell’Ing. Borzì, realizzato in condizioni di estrema difficoltà ed in brevissimo tempo, si attua secondo direttive piuttosto semplici: pianta della città geometrica e razionale, una strada di circonvallazione a chiudere e definire la forma della città, isolati regolari, attrezzature pubbliche e piazze in luoghi strategici. Tra il 1910 ed il 1939 si attua la parte maggiore della riedificazione della città. Le aree specializzate, civili e religiose si adattano alla griglia e spesso sono ricavate in uno o più isolati. Il linguaggio delle architetture deriva dalle numerose e diversificate tendenze dell’architettura dei primi trent’anni del novecento in Italia e in Europa: repertori accademici di stile eclettico, che danno tuttavia alla città un’immagine compatta; nuove esperienze liberty; poche ma significative opere di architettura razionalista. In questo periodo di ricostruzione operano a Messina personaggi di rilievo della cultura architettonica siciliana ed italiana. Vengono edificate accanto alle residenze pubbliche e private , chiese ed istituzioni religiose, scuole ed università, istituzioni pubbliche (prefettura, carceri, ospedali, poste, stazione ferroviaria, palazzo di giustizia, camera di commercio, ecc.); e private (banche, alberghi, cinema). Nel programma di ri-istituzionalizzazione della città , la Fiera diventa un’importante tessera della rinascita: ha un valore di rilancio economico di una terra terremotata, ma anche di quello di propaganda di un regime. Nel 1934 essa riprende la sua attività nei locali del Liceo Maurolico, vicino Piazza Duomo e negli spazi adiacenti non ancora edificati. Lo spazio a disposizione era di circa novemila metri quadrati: le aule vennero trasformate in stands espositivi, nel cortile vennero allestiti padiglioni, ed altre aree vicine vennero utilizzate per le esposizioni all’aperto. L’ingresso era segnato da un portale diviso in cinque settori: i tre centrali servivano per l’accesso, quelli laterali erano occupati da pannelli in marmo recanti frasi inneggianti il regime. Come per la ricostruzione dell’intera città, la data fatidica per la Fiera moderna, così come è giunta fino ai giorni nostri, fu la visita, il 10 agosto del 1937, dopo tre anni di attività, del Capo del Governo Benito Mussolini, alla IV edizione della fiera di Messina. In questa occasione Mussolini, secondo il programma di sviluppo autarchico, stabilì che la Fiera doveva divenir di più ampia portata per l’inevitabile sviluppo del Paese”. L’ordine allora era la realizzazione di una rassegna delle attività economiche siciliane” ben di più ampia portata: dopo quattro anni di permanenza in questo luogo la Fiera cambia dimensione, luogo, significato. La storia dell’architettura moderna italiana è la storia dei suoi rapporti con il fascismo. Il regime adotta una politica di compromesso tra la tendenza moderna ed il linguaggio tradizionalista, aprendo una diatriba che per quasi vent’anni ha caratterizzato il dibattito architettonico italiano. Il luogo scelto per l’insediamento della nuova Fiera fu quello dello Chalet, l’ex Giardino a Mare, o Villa Umberto, ricco di vegetazione, gazebo, fontane, un laghetto, il palco della musica, panchine, semidistrutto dal terremoto e dopo trent’anni non ancora risistemato. Un luogo particolarmente bello, eccezionalmente panoramico: forse l’ultimo segno della società ottocentesca. Lo stesso luogo indicato quasi settecento anni prima da Federico II per l’insediamento della Fiera del Santo Sepolcro. La Fiera, dal regime fascista, venne considerata un’occasione per dimostrare la capacità autarchica della Sicilia (era l’unica e rappresentava tutta l’isola) nel campo dell’artigianato, dell’agricoltura, dell’industrai e del commercio. Occasione di dimostrare una florida attività economica che sfrutta le risorse della terra. Occasione per sfruttare la sua centralità nel Mediterraneo, tra i nuovi possedimenti Africani ed il Nord-Europa. Occasione quindi di propaganda. L’8 Aprile del 1938 si pose la prima pietra della nuova Fiera, il 10 agosto si inaugurava. Il progetto, redatto in meno di otto mesi e realizzato in quattro mesi (desta sempre stupore il paragone con le modalità ed i tempi dei giorni nostri, pur altamente tecnologici), è pensato come una corte aperta verso lo Stretto. Per avere un’idea dei pesi economici dei vari settori a questa V edizione del 1938 parteciparono, su 298 Espositori, 32 appartenenti all’agricoltura, 132 all’artigianato, 85 all’industria e 48 al commercio. Questa Fiera si ripete con questo assetto organizzativo e architettonico solo due anni, nel 1940 l’Italia entra in guerra. Durante la guerra la Fiera viene ripetutamente bombardata , subito dopo diventa deposito di materiale bellico danneggiato. A metà giugno del 1946 si termina lo sgombero, ed in soli due mesi si riesce a ricostruire la Fiera ed a riaprire, il 10 agosto, la VII edizione. Nel frattempo la Fiera è diventata Ente Autonomo. Negli anni successivi e fino ai nostri giorni, la Fiera, dal punto di vista strettamente architettonico ha subito ingenti ed interessanti modifiche, nell’avvicendarsi di incarichi progettuali affidati ad architetti di grande fama e prestigio. Certamente sono stati fatti molti errori e talune scelte progettuali sono attribuibili a motivazioni contingenti, alla fretta e all’improvvisazione che talvolta sono rimaste immutate. Ma come altri prima di noi hanno già da tempo avvistato, riteniamo che l’attenzione al progetto ed alle sue qualità, ma anche e soprattutto alle sue funzioni debba tornare ad essere patrimonio di tutti ed una sfida di rilancio per il nuovo millennio. La Fiera è oggi un Ente pubblico economico che, svolgendo un calendario articolato di mostre specializzate, ha raggiunto completa autonomia operativa: una struttura che produce servizi per il territorio, con i necessari criteri di economia aziendale.
fonte fieradimessina.it
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